Il G.A.S. ( Grande Anello dei Sibillini) in E-bike

Eccomi, di nuovo qui, a scrivere di storie vissute in bici, questa volta in e-bike. Riparto da dove mi ero fermato, dalla terra dei Sibillini visitata con Stefano nel settembre 2019 e dalla promessa di ritornarci.

Giugno 2021. Ogni promessa è debito. Questa volta cambia la compagnia: ci saranno con me Marco e Nicola, due amici del passato recente. Esperienza in bici prossima allo zero, incoscienza tanta. Suggerisco, però, l’utilizzo della e-bike, per riuscire a godere della bellezza del territorio con la giusta fatica.

Arriviamo a Visso che ormai sono le 22:00 di venerdì 18 giugno. Difficile trovare un posto aperto: fortunatamente la Taverna del Pescatore ci aspetta e ci permette di rifocillarci per bene in vista dell’avventura. La notte scorre tranquilla, a parte qualche riproposizione della grigliata mista. La sveglia all’alba ci regala ben 12° di temperatura: tutto come da pronostico. Colazione abbondante e ritiro delle bici: siamo pronti.

Giorno 1. Lasciamo Visso e i segni del terremoto del 2016, procedendo verso Ussita. Questi primi km sono su asfalto, giusto per prendere confidenza coi mezzi. Ecco la prima salita: si inizia subito a fare sul serio. Le pendenze a doppia cifra e il terreno scivoloso ci riscaldano e non poco. Al diradarsi della vegetazione scorgiamo cavalli al pascolo e una fonte ristoratrice. Adesso si scende per poi iniziare una salita bella tosta che ci porterà a sovrastare Fiastra e il suo bellissimo lago. La discesa é scorrevole e lunga. La visuale é un qualcosa di affascinante. La fatica fa il pari con la meraviglia negli occhi dei miei compagni di viaggio. Pausa rigeneratrice e momento ricarica bike.

Riprendiamo a salire nelle ore centrali della giornata. Questa é la salita più lunga e dura per oggi, io la ricordo bene e procedo con tutta la calma del caso. Ci mettiamo un’oretta forse a svalicare e a Puntura di Bolognola un’altra sosta é d’obbligo. Incontriamo diversi ciclisti, alcuni con la gravel che si apprestano a scendere lì dove noi con i nostri gommoni facciamo già fatica: ci vuole coraggio, bravi. Usciamo da un boschetto ed è di nuovo salita, l’ultima su asfalto che ci conduce alla Fattoria dei Sibillini, dove sostiamo per la notte. La tappa uno si conclude con 84 km, 2700 m di dislivello e una cena da asporto a base di prodotti locali.

Giorno 2. La sveglia suona e presto. Le fatiche accumulate sembrano non aver abbandonato i nostri fisici da anticiclismo. C’è poco da fare, in un modo o in un altro bisogna che arriviamo a Visso, quindi gambe in spalla ragazzi. C’è un vento fastidioso e il cielo non lascia presagire nulla di buono. Sulla valle una certa foschia la avvolge. C’è un umido che ti si attacca addosso. Credo che anche oggi ci sarà da soffrire, nonostante l’aiuto elettrico. Saliamo verso il rifugio di Altino, entriamo nel bosco. Lo ricordo come uno dei passaggi più tecnici di tutto il giro: bisogna stare attenti. Nonostante le accortezze, ce la rischiamo diverse volte e, non senza difficoltà, ritroviamo finalmente l’asfalto. Si sale verso la famigerata Forca di Presta, dove due anni prima ero stato vittima di una delle crisi più dure da superare; ricordo che mi feci trainare da un furgoncino per un po’. Questa volta va decisamente meglio, la strada é trafficata da ciclisti, motociclisti e greggi. Nicola cerca invano di nascondersi tra le smarrite pecorelle, ma di certo il suo colore non gli favorisce il mimetismo.

Sono le 11:00 quando arriviamo in cima e svoltiamo alla volta del sentiero che ci conduce verso le Piane di Castelluccio di Norcia. La fatica c’è, non si nasconde. Il terreno, benché in leggera discesa, non favorisce la velocità, ma Castelluccio ormai è ben visibile, la meta si avvicina. Molte sono le persone che in questo periodo giungono  da ogni parte del mondo per ammirare la fioritura delle lenticchie. Probabilmente siamo un po’ in anticipo, ma qualcosa riusciamo a scorgere anche noi. Prime rampe verso Castelluccio e sosta all’agriturismo Il Sentiero delle Fate, dove cerchiamo di riprendere energie per concludere l’anello. La temperatura é a dir poco torrida, le gambe per il nostro livello di allenamento gridano “basta”. Non ci resta che dirottare la traccia su asfalto, bypassando l’ultima salita fuoristrada. Il valico é vicino, da qui una discesa interminabile ci riporta a Visso, avvolta dalla calura. É finita, avventura conclusa. Circa 160 km totali con 5000 m di dislivello. Io sono stanco, ma i miei amici quasi non parlano più… Non basta una coca a riattivare la favella. Nicola, dei due, mi sembra messo meglio, Marco, beh, lasciamo stare.

Indubbiamente é un percorso che va affrontato con la giusta preparazione, i 5000 m di dislivello non si inventano, nemmeno in e-bike. La bellezza naturalistica del percorso é a tratti veramente estasiante. I lasciti del terremoto ancora oggi sono ben visibili, ma la grandiosità delle persone che abitano in questi luoghi fa passare questo in secondo piano.

Il bilancio finale per questi “diversamente bikers” non può che essere positivo. Certo alla fine la stanchezza ha oscurato un po’ tutto, ma cosa rimane poi quando questa passa? Rimane la bellezza del tempo passato insieme a ridere, a scherzare e a faticare; rimane il ricordo delle innumerevoli cadute di Marco, l’eco degli starnuti di Nicola, le soste improvvisate immersi nelle montagne, di noi e delle nostre bici..

https://www.komoot.it/tour/397401286?ref=wtd

Sibillini Bikepacking

Torno a scrivere. Lo faccio dopo tanto. Il periodo aiuta a cercare dentro di sé un orizzonte che ci aiuti a stare meglio.

Da quel dì di Corsico, bisogna aspettare settembre per vedermi di nuovo in sella, in cerca di avventura e libertà. In mezzo, un trasferimento, un cambio di vita, la necessità di conoscere le nuove strade adagio, senza forzare per riprendersi dall’infortunio, le imprese parigine di tanti amici. Io sto al palo, sogno il rientro.

Sibillini Bikepacking, mi attizza e non poco. In modalità unsupported su percorso permanente. Un anello di 160 km nel cuore delle Marche, in mezzo alla natura, da percorrere in MTB. Ne parlo con Stefano, basta poco per convincerlo, si partirà. Decidiamo per un mercoledì di inizio settembre, benché il meteo ci tenga sul chi va là fino all’ultimo. Lo studio del percorso ci suggerisce di dividere in due l’anello: 80 km al giorno sono sufficienti per avere il tempo di godere appieno delle bellezze che attraverseremo. Ci iscriviamo comunicando così la nostra data ufficiale di partenza: sarà il 4 settembre.

 

 

Sono le 5:00 del mattino. Stefano è sotto casa. Carico la mia modestissima cannondale trail 4 che di suo sta sui 15 kg e via verso Visso. Pian piano il sole viene a darci il buongiorno, sembra che la pioggia dei giorni precedenti voglia concederci una tregua. Ci addentriamo nell’entroterra marchigiano. Lo scenario cambia: qui il tempo sembra essersi fermato a quel dì maledetto, quando la terra ha tremato. Le case o quel che rimane di loro sono il manifesto dello stato di queste zone.

Arriviamo a Visso che sono le 7:00. Ritiriamo la carta di viaggio e siamo finalmente pronti: si parte! Primi 6 km su asfalto in leggera salita, poi ci si addentra su boschetti e strade sterrate. Alla partenza c’erano 8 gradi, la fatica innalza subito la temperatura, almeno quella corporea. Usciamo dal boschetto: il panorama che ci si apre davanti vale la fatica fatta sin ora. Una fontana ci offre un ristoro gradito. Scendiamo per qualche chilometro, attraversiamo un piccolissimo borgo e incontriamo il suo sindaco: un pastore abruzzese è ormai l’unico abitante di questo luogo. Si torna a salire, in maniera anche abbastanza decisa. La strada è fatta di sassi, talvolta instabili che rendono precario il nostro equilibrio. Stefano prende il largo, è nettamente più preparato di me. Incontriamo pochi che decidono di percorrere il G.A.S. o parte di esso. Gli incoraggiamenti fanno sempre piacere.

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Ecco la vetta. Adesso discesa per più di 15 km verso il lago di Fiastra, che, visto dall’alto, si mostra in tutto il suo splendore. Percorriamo tutto il lungo lago prima di accorgerci di aver saltato il secondo check point: tocca tornare indietro. Timbro e abbondante sosta ristoratrice.

Di nuovo in salita, di nuovo prima l’asfalto e poi lo sterrato ad indicarci la vetta. Arranco a fatica, mi fermo, respiro e riparto. La mia ruota posteriore si sgonfia: mannaggia a me che non l’ho fatta controllare prima della partenza.  Cerchiamo di riportarla ad un minimo di pressione per arrivare alla fine della tappa. Mancano una quindicina di chilometri  e quasi tutti in discesa. Si scende per una pista da sci, ci si addentra in boschi ancora umidi per poi tornare di nuovo sull’asfalto. Ormai ci siamo: siamo in località Montefortino,  arrivo di tappa di giornata. Una doccia, una buona cena e una bella dormita ci attendono per affrontare al meglio il nuovo giorno.

La sveglia suona presto, gli occhi si aprono a fatica, i dolori muscolari mi danno il buongiorno. Dopo un’abbondante colazione siamo di nuovo in strada: la mia ruota è ancora giù, chissà se arriverò alla fine. Si sale di nuovo. Le salite sono interminabili, la fatica torna subito a farsi sentire. Stefano, invece, è fresco come una rosa: maledetti magri!! Svalichiamo e al cento abitato sosta alla fontana del paese. Di nuovo in salita, verso Altino, per apporre il terzo timbro. Il rifugio è ricavato da una struttura prefabbricata donata dalla protezione civile. La gentile signora ci racconta dello stato di abbandono in cui purtroppo sono state lasciate queste popolazioni, ci racconta dei migliaia di turisti, provenienti da tutto il mondo, che affollavano questi sentieri prima del terremoto, dell’impossibilità adesso di garantire i giusti servizi e dell’inevitabile pressoché azzeramento del turismo in queste zone. I suoi occhi sono lucidi, impossibile rimanere indifferenti. Un abbraccio e un invito ad andare avanti è d’obbligo.

Si riparte e, manco a dirlo, si torna a salire. Credevo spianasse prima, avrò avuto delle allucinazioni. Eccola, finalmente discesa. Eccola, di nuovo salita!! La salita asfaltata verso Forca di Presta segna la resa del condottiero sfiduciato. La strada di per sé non sarebbe nemmeno così impervia, ma le mie condizioni fisiche me la fanno sembrare peggio dello Stelvio fatto all’Alpi4000. Stefano va, è un grande. Io mi fermo ogni 3×2. Lo vedo allontanarsi. Torna indietro, si carica la mia borsa sottosella e mi incita a continuare, spingendomi addirittura in salita: un mostro. Ad un tratto un aiuto inaspettato: si affianca un furgoncino di austriaci e mi chiede se necessiti di aiuto: è un’occasione da non farsi scappare! Mi aggrappo allo sportello e raggiungo la vetta. Stremato, mi stendo a terra; Stefano, purtroppo, arriva troppo presto: ma come farà? Proseguiamo sempre in quota, con una visuale sulla vallata che è una meraviglia. Sono cotto duro e la ruota continua a darmi problemi. Incontriamo un pastore col suo gregge: l’ennesima testimonianza di solitudine e malinconia. Quattro chiacchiere non bastano a risollevargli il morale più di tanto. Ci saluta dicendoci: “Quando arrivate alla piana di Castelluccio, non guardate in alto: vi si spezzerebbe il cuore!”.

La lunga e divertente discesa ci conduce alla piana di Castelluccio, famosa per i suoi colori durante la fioritura delle lenticchie. Penso: finalmente un po’ di pianura! Ennesimo errore, ho sottovalutato un po’ troppo questa avventura forse. La ruota è di nuovo a terra e l’erba inevitabilmente non aiuta la scorrevolezza. Non so come, comunque, raggiungiamo Castelluccio per apporre l’ultimo timbro. Qui, una birra e un paninozzo non me li toglie nessuno. Facciamo un po’ il punto della situazione: non mancano tantissimi chilometri, ma c’è un’altra salita da affrontare che ci porta verso il punto più alto del tracciato. La mia condizione e l’ora tarda ci fanno ragionare e propendere per una strada alternativa che ci riporti a Visso nel minor tempo possibile. Lasciamo le strutture prefabbricate ai piedi del paese e saliamo verso il centro: c’è addirittura l’esercito a regolare la viabilità. La situazione è davvero pesante, aveva ragione il pastore.

Mi butto in discesa, credendo che ormai sia fatta, ma di nuovo la strada sale. Vedo il valico in lontananza, stringo i denti, so che questa è davvero l’ultima e alla fine sono in cima. Una lunga discesa su strada in manutenzione ci riporta a Visso: la fatica lascia spazio alla gioia di aver completato un giro così duro e bello. Abbraccio Stefano, ho trovato in lui un compagno solido e altamente altruista. Spero di non averlo limitato troppo. Siamo felici, apponiamo l’ultimo timbro, quello di FINISHER e beviamo una birra, l’ennesima, l’ultima.

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